UN VUOTO NELL’ANIMA
La mia vita che io ricordi è sempre stata un incubo: fino ai sedici anni non ho mai avuto veri amici, sempre sola e triste, così depressa che tentai anche di uccidermi.
A scuola ero vista come una povera bruttina con gli occhiali fissata con i voti, una dalla quale copiare i compiti e non da invitare da nessuna parte.
Mi sono mancati quegli amici, i pomeriggi al sole pieni di gioia e sorrisi: ero felice quando pioveva perché la pioggia e l'oscurità rispecchiavano ciò che c'era nel mio cuore. Dopo ogni giornata di scuola versavo lacrime amare, stanca di subire le peggiori angherie; ridacchiavano, bisbigliavano, ripetevano in tono derisorio le domande che ponevo ai professori o ciò che commentavo durante le lezioni. Non sono mai riuscita a capire la mia unica colpa, in fondo volevo solo andare bene a scuola! I miei genitori? Non so se fossero morti o mi avessero abbandonata. Ho sempre vissuto con una coppia, forse zii, non erano molto presenti: lei lavorava moltissimo e lui non era mai a casa, e quando tornava, spesso a notte fonda, puzzava di alcool. Non erano dei gran genitori, divorziarono quando io avevo circa sedici anni.
Non potendo più badare a me, la zia mi affidò ai servizi sociali e il tribunale decise di mandarmi in una famiglia dall'altra parte della nazione, e cosi dallo squallido quartiere di periferia traslocai nel New England presso una famiglia benestante e altolocata, i Jackson.
Ero felice, stavo per iniziare una nuova vita. L'assistente sociale mi aveva detto che mi sarei trovata bene e che la famiglia che mi avrebbe accolta non vedeva l'ora di conoscermi, avevano già due figlie: Jane mia coetanea e Maggie.
I signori Jackson erano gentili (cosa che non si poteva dire di Jane che rendeva ogni giorno la mia vita un’ inferno), ma io però ero diffidente, non abituata a tutte quelle attenzioni.
Il mio compleanno si avvicinava ed i Jackson decisero di organizzare una festa a sorpresa alla quale invitarono un po' di ragazzi e ragazze della scuola, sperando che io facessi amicizia, ma qualcosa andò storto: Jane sabotò la festa dicendomelo prima ed evitando che si presentassero gli invitati. Non davo peso ai suoi tiri mancini, ero contenta perché avrei finalmente conosciuto Maggie, la maggiore. Sarete sorpresi nel sapere che invitai anche io una persona alla festa, una ragazza che conobbi in un bar, era bellissima: alta, snella capelli scuri e occhi verdi, la dolcezza e la comprensione fatta a persona. Ci conoscemmo per caso in coda alla caffetteria dietro casa dove ero solita andare: chiacchieravamo tanto e le raccontai la mia vita a San Francisco e le mie speranze di un nuovo inizio distrutte dalla mia sorellastra. Lei mi capiva, sapeva cosa volesse dire impegnarsi negli studi ed essere derisa per questo: era la prima del suo corso, capo del comitato studentesco al college e aveva vinto numerosi premi scientifici sapeva esattamente come mi sentivo, per anni non aveva mai avuto amici, per quanto fosse circondata da persone era comunque sola al liceo.
La mattina del mio compleanno arrivò, mi svegliai, mi guardai allo specchio e mi dissi come ogni anno "beh un anno in più e non sono cambiata di una virgola" mi vestii, salutai la signora Jackson presa dalle pulizie e uscii. Era una bella giornata, il sole splendeva alto nel cielo ed io avevo un appuntamento al parco con Maggie ma lei non si presentò, l'aspettai un paio d'ore ma non la vidi arrivare, delusa me ne tornai a casa. Quando arrivai trovai tutte le luci spente, tempo di chiudere la porta accendere la luce e fui travolta da un coro di SORPRESA, rimasi a bocca aperta non tanto dalla festa ma nel notare che la figlia maggiore dei Jackson altro non era la ragazza con cui avevo passato gli ultimi giorni, l’amica che avevo invitato. Felice della mia sorpresa mi godetti la festa e Maggie fece di tutto per far si che mi rappacificassi con Jane e ci riuscì; fermandosi più del previsto perse il treno e il signor Jackson le disse di prendere la macchina. Era scoppiato un brutto temporale e quattro ore dopo la sua partenza Maggie ancora non aveva chiamato. Il signor Jackson accese la TV e sul canale regionale c'era la notizia di un grave incidente che aveva bloccato la statale est in direzione del college, dalle immagini i Jackson sembrarono riconoscere la loro macchina accartocciata... presi dall'angoscia presero il telefono per chiamare la polizia, ma non appena iniziò squillare qualcuno suonò il campanello...Ho ricordi molto confusi di quella sera e di ciò che avvenne dopo: la signora Jackson fu colta da un malore improvviso e fu ricoverata in ospedale, Jane diventò ancora più spietata nei miei confronti incolpandomi della morte di Maggie, il signor Jackson scelse il silenzio e l'alcool.
Non so cosa mi spinse a farlo: forse la disperazione della mia solitudine, l'aver perso l'unica amica che avevo, l'affetto dei genitori che non avevo mai provato prima, tentai più volte di evitare quella sensazione di essere stata IO la causa di tutti quei mali, il dolore, la morte... Alla fine cedetti al tormento e un mese dopo, in una notte di pioggia come ce ne sono tante, mi chiusi in bagno e tentai di uccidermi, non chiedetemi dettagli è troppo doloroso.
Non so bene cosa accadde dopo ma volevo a tutti i costi lasciarmi andare, la mia vita non aveva mai avuto un senso, avevo solo sofferto e causato sofferenza, altrimenti perché tutto il mondo mi odiava cosi tanto? Vedevo un via vai di persone intorno al mio letto, piangevano, leggevano, parlavano con me; persino Jane sembrava realmente afflitta! Non avevo intenzione di restare volevo andarmene per sempre, d’altronde ero sempre stata invisibile una donna senza volto e il resto del mondo non mi prestava alcuna attenzione…Una notte però accadde qualcosa di strano: sognai Maggie. Era venuta da me, bellissima come sempre, camminava e venendomi incontro mi disse di stare bene, che ora la sua famiglia aveva bisogno di me, che io avrei dovuto occuparmi di loro e della loro felicità. Mi baciò, abbracciò e svanì.
La mattina dopo mi risvegliai e iniziai a riprendermi. Qualche settimana e fui dimessa.
Maggie cambiò la mia vita, fu un'amica, una confidente, una sorella. In così poco tempo mi diede tanto, diventai adulta imparando ad essere me stessa senza vergognarmi e senza paura.
poesie, racconti, riflessioni è tutto ciò che troverete qui dentro :) lasciate un commento sotto ogni cosa che leggerete ..
lunedì 29 luglio 2013
Tutto ciò che chiedo è incontrare qualcuno che non conosca obbligo nello starmi accanto, che abbia voglia di vedermi anche solo per un'ora ma che sia spesa bene.
Qualcuno con cui condividere le cose più semplici lasciando da parte superfluo e la pomposità: stare sdraiati in un letto, sotto le stelle o semplicemente prendere un caffè.
Qualcuno che condivida il silenzio e il rumore, che riempia il vuoto che ho dentro solo con la sua presenza.
Ho bisogno di qualcuno che scelga di stare con me indipendentemente dalle etichette, perché quelle non sono una garanzia come la volontà di stare l'uno nell'altra indipendentemente da ciò che accade nel mondo esterno.
Ho bisogno di qualcuno che sappia di essere libero ed essendolo scelga comunque la mia compagnia senza che sia io a chiederlo.
Qualcuno con cui condividere le cose più semplici lasciando da parte superfluo e la pomposità: stare sdraiati in un letto, sotto le stelle o semplicemente prendere un caffè.
Qualcuno che condivida il silenzio e il rumore, che riempia il vuoto che ho dentro solo con la sua presenza.
Ho bisogno di qualcuno che scelga di stare con me indipendentemente dalle etichette, perché quelle non sono una garanzia come la volontà di stare l'uno nell'altra indipendentemente da ciò che accade nel mondo esterno.
Ho bisogno di qualcuno che sappia di essere libero ed essendolo scelga comunque la mia compagnia senza che sia io a chiederlo.
Fai una fatica mostruosa per prendere quella decisione che ti porta ad abbattere tutte le barriere che ti sei creato ogniqualvolta la vita ti ha tirato un colpo basso: orgoglio, paura, ansia... Ti accorgi che sono solo parole e cosi le ignori, prendi un bel respiro e agisci finché non si ripresenta il solito problema un messaggio per quanto dolce, simpatico, carino rimane una lettera in una bottiglia abbandonato alla deriva senza esser mai ricevuto dal destinatario.
La mia testa è un vortice, un torrente in piena di pensieri che fluiscono a tutta velocità.
Al centro di tutto questo ci sei tu insieme al profumo sul tuo collo morbido, alle tue labbra, ai tuoi occhi ed alle tue braccia che mi stringono forte.
Da quando sono entrata nelle rapide ho perso ogni controllo e in tua presenza diventa sempre più difficile mantenerlo.
Vorrei solo abbandonare i remi e lasciarmi trasportare nella corrente ma la paura di affogare è troppa.
Al centro di tutto questo ci sei tu insieme al profumo sul tuo collo morbido, alle tue labbra, ai tuoi occhi ed alle tue braccia che mi stringono forte.
Da quando sono entrata nelle rapide ho perso ogni controllo e in tua presenza diventa sempre più difficile mantenerlo.
Vorrei solo abbandonare i remi e lasciarmi trasportare nella corrente ma la paura di affogare è troppa.
Eri quella cosa che stavo aspettando
la scossa di cui avevo bisogno
per allontanarmi
da quel buco nero che mi risucchiava
eppure come tutte le scariche
sei passato in pochi secondi come in un sogno
ho visto la tua ombra mentre si allontanava
forse il tuo scopo era quello,
tirarmi su
per poi lasciarmi giù
con mille domande
che non avranno mai risposta.
la scossa di cui avevo bisogno
per allontanarmi
da quel buco nero che mi risucchiava
eppure come tutte le scariche
sei passato in pochi secondi come in un sogno
ho visto la tua ombra mentre si allontanava
forse il tuo scopo era quello,
tirarmi su
per poi lasciarmi giù
con mille domande
che non avranno mai risposta.
A volte ho come la sensazione di aver perso il treno, non una sola volta, ma una, due, tre.... infinite volte in cui sono rimasta immobile sulla banchina perché arrivata sul fischio del capotreno non mi restava altro che vedere la carrozza in movimento mentre si allontanava verso l'orizzonte e la paura di saltare era troppa.
Potevo restare ore a guardarti dormire: il tuo viso rilassato in un meraviglioso sorriso di un riposo profondo, come se nessuno potesse toccarti.
Ti addormentasti tra le mie braccia con la mia mano che accarezzava i tuoi capelli e le mie labbra che sfioravano il tuo viso.
Mi sentivo al sicuro accanto a te, una sensazione che non provavo da tanto tempo.
Sarei rimasta in quel letto per sempre, con te, lontani dal mondo che ci circondava e da occhi indiscreti: soli ma insieme.
Ma evidentemente la sveglia non aveva gli stessi progetti.
Ti addormentasti tra le mie braccia con la mia mano che accarezzava i tuoi capelli e le mie labbra che sfioravano il tuo viso.
Mi sentivo al sicuro accanto a te, una sensazione che non provavo da tanto tempo.
Sarei rimasta in quel letto per sempre, con te, lontani dal mondo che ci circondava e da occhi indiscreti: soli ma insieme.
Ma evidentemente la sveglia non aveva gli stessi progetti.
Avrei potuto innamorarmi di quel sorriso,
di quello sguardo carico di attenzione,
di quegli occhi piccoli ma del tipo che scavano anche il lato più profondo e oscuro dell'anima.
Sentivo che mai avrei potuto stancarmi di quell'abbraccio forte;
di quelli che non provavo da tanto.
Di quei baci appassionati che scatenavano brividi in tutto il mio corpo.
Avrei potuto e tutt'ora potrei ma effettivamente eviterei.
di quello sguardo carico di attenzione,
di quegli occhi piccoli ma del tipo che scavano anche il lato più profondo e oscuro dell'anima.
Sentivo che mai avrei potuto stancarmi di quell'abbraccio forte;
di quelli che non provavo da tanto.
Di quei baci appassionati che scatenavano brividi in tutto il mio corpo.
Avrei potuto e tutt'ora potrei ma effettivamente eviterei.
Cosa sono il mio e il tuo? Concetti sopravvalutati quando ci si riferisce al legame tra due persone: se si parla di possesso non si parla di sentimenti.
Quando due persone sono attratte l'una dall'altra non hanno bisogno di un'etichetta per definirsi una cosa sol
a; lo sono perchè vogliono esserlo, si appartengono ad un livello che va ben oltre la fisicità.
Ci sono tante coppie che per una questione di etichetta si definiscono un'unica cosa, ma è soltanto una questione di apparenza perchè, nei fatti, cercano altrove ciò che nell'altro non possono trovare.
Nella realtà delle cose due persone che si attraggono e vogliono stare insieme non hanno bisogno null'altro che di loro stessi e restano uniti senza il bisogno della colla nel marchio sociale che li identifichi agli occhi del mondo.
Se c'è un obbligo non c'è libertà, se non c'è libertà non ci può essere spontaneità e se non c'è la spontaneità come possiamo considerarci felici?
E' questa una delle tante sfaccettature dell'amore, forse quella più pura e semplice, un'utopia che si nutre solo di passione e sentimento che crea legami indissolubili nel tempo e nello spazio.
Quando due persone sono attratte l'una dall'altra non hanno bisogno di un'etichetta per definirsi una cosa sol
a; lo sono perchè vogliono esserlo, si appartengono ad un livello che va ben oltre la fisicità.
Ci sono tante coppie che per una questione di etichetta si definiscono un'unica cosa, ma è soltanto una questione di apparenza perchè, nei fatti, cercano altrove ciò che nell'altro non possono trovare.
Nella realtà delle cose due persone che si attraggono e vogliono stare insieme non hanno bisogno null'altro che di loro stessi e restano uniti senza il bisogno della colla nel marchio sociale che li identifichi agli occhi del mondo.
Se c'è un obbligo non c'è libertà, se non c'è libertà non ci può essere spontaneità e se non c'è la spontaneità come possiamo considerarci felici?
E' questa una delle tante sfaccettature dell'amore, forse quella più pura e semplice, un'utopia che si nutre solo di passione e sentimento che crea legami indissolubili nel tempo e nello spazio.
Mi togli il fiato ogni volta che mi guardi,
ogni volta che i tuoi occhi incontrano i miei o
quando le nostre mani si sfiorano.
Io di nascosto ti lascio entrare fingendo di guardare dall'altra parte,
mi attrai più di quanto ti lasci credere:
sei come una calamita.
Ma la verità è che la distanza è l'unica cosa concreta che potrà esserci tra noi.
ogni volta che i tuoi occhi incontrano i miei o
quando le nostre mani si sfiorano.
Io di nascosto ti lascio entrare fingendo di guardare dall'altra parte,
mi attrai più di quanto ti lasci credere:
sei come una calamita.
Ma la verità è che la distanza è l'unica cosa concreta che potrà esserci tra noi.
E' per quel modo che hai di guardarmi, come a voler indagare il mio viso per carpirne ogni segreto: ciò che è celato dietro ogni singola espressione, velato dai miei mille sorrisi.
Vuoi conoscere i miei pensieri più nascosti ma non riesci e cosi resti confuso nella tua inconsapevolezza.
Eppure devi sapere che è quel tuo sguardo indagatore a confondere me, sento come un vuoto sotto i miei piedi ogni volta che ti vedo osservarmi da lontano e ciò che ti crea dubbi è solo una profonda timidezza impossibile da esprimere.
Sono come un agnello indifeso di fronte al lupo; il mio viso è come il velo di Maya, devi solo avere il coraggio di sollevarlo per conoscerne il segreto.
Vuoi conoscere i miei pensieri più nascosti ma non riesci e cosi resti confuso nella tua inconsapevolezza.
Eppure devi sapere che è quel tuo sguardo indagatore a confondere me, sento come un vuoto sotto i miei piedi ogni volta che ti vedo osservarmi da lontano e ciò che ti crea dubbi è solo una profonda timidezza impossibile da esprimere.
Sono come un agnello indifeso di fronte al lupo; il mio viso è come il velo di Maya, devi solo avere il coraggio di sollevarlo per conoscerne il segreto.
Un incontro
"UN INCONTRO"
Marcai il labbro superiore, seguendo i contorni dell’arco di Cupido e scendendo verso l’incavo con il labbro inferiore. Corressi le sbavature con un fazzoletto di carta, inumidito dalla mia saliva e guardai la mia immagine riflessa nello specchio di fronte. Con le labbra carnose che mi ritrovavo, di certo non potevo passare inosservata: anzi, se piegavo il volto ed arricciavo la bocca, potevo addirittura rasentare l’eccessivo. Avevo optato per un vestito nero, classico, formale ed informale allo stesso tempo, con un scollo a “v” sul petto e niente spacchi sui lati. Grazie alla luce calda dell’abat-jour, dall’immagine che avevo di fronte, trapelava una certa sensualità che, aiutata dal rossetto, restava camuffata, tuttavia, dall’artificiosità dell’abito.
Rimasi incollata di fronte allo specchio per un buon quarto d’ora, cercando di far scivolare al meglio il tessuto sui fianchi ed aggiustando i dettagli. Nel tentativo di chiudere la zip lungo la schiena, l’occhio mi cadde su una piccola scatola in legno, sopra il bourot, un piccolo scrigno che avevo racimolato fra i vecchi mobili della nonna.
Quando avevo comprato quel monolocale, nell’hinterland di Torino, ero rimasta talmente delusa dei suppellettili con i quali i precedenti locatari avevano arredato l’ambiente che, ero stata costretta a cambiare tutto. Perlustrando la vecchia casa di mia nonna, avevo trovato qualche mobile degli anni Trenta, fatto restaurare a dovere da mio padre e me ne ero appropriata senza troppe scuse. In effetti, l’appartamento appariva tutto fuorché moderno, ma col tempo avevo finito per abituarmici. Ora, quel piccolo scrigno, ornato di velluto rosso, aveva catturato la mia attenzione. Aprendolo vi trovai, fra le altre cianfrusaglie, anche una piccola fede in oro, sicuramente risalente alla notte dei tempi, tramandata di madre in figlia per chissà quanto tempo. Per almeno una decina di volte mi chiesi se era il caso di metterla. Insomma, stavo andando a cena con il mio ex, e già questo sarebbe bastato per classificare la serata fra le cose senza senso. Per di più, avevo indossato un abito strettamente formale, che mettevo di rado ed un rossetto praticamente vergine. No, forse non era esattamente il momento migliore per sfoggiare tale brilluccichio in onore e ricordo dei miei avi. Riposi l’anello nello scrigno e ritirai gli abiti che avevo provato prima di scegliere quello che indossavo, malamente gettati sul letto, diedi ordine alle lenzuola ed uscii di casa, arrancando il cappotto all’entrata.
Non che fossi particolarmente soddisfatta dell’ubicazione di quel monolocale, devo ammetterlo; oltre alla vicinanza col Po’, non riuscivo ad intravedere aspetti positivi, malgrado gli sforzi. Il condominio risaliva agli anni Venti ed aveva muri talmente spessi che non li avrebbe distrutti neppure un ordigno nucleare. E la cosa più spiacevole era che, nelle giornate d’inverno, trattenevano gelo ed umidità come carta assorbente. Attraversai il corso, dirigendomi verso il fiume e m’incamminai verso la piazza centrale. Il buio era sceso già da un pezzo, nascondendo le imperfezioni dei volti e camuffando le chiazze di smog che si estendevano a macchia di leopardo sulle pareti degli edifici, inconfutabile segno di una città schiava del traffico.
L’unica nota positiva, trapelava dallo scroscio dell’acqua che, con velocità disarmante, sbatteva sugli argini e procedeva verso la pianura. C’era un’altra città, nel fiume. La città fatta di ombre e di luci che si riflettevano ballerine tra le onde; una città silenziosa, più pulita, nella quale potevi immergerti facendo canottaggio o su uno dei tanti battelli attraccati al Valentino. Non sempre, ovviamente. Nei mesi invernali tutto era statico, fermo, in attesa della rinascita e del rifiorire della natura e dei turisti. Io, nell’acqua, mi ci perdevo ogni giorno, anche senza avere il culo adagiato su una canoa. Ma questa è un’altra storia.
A cena con l’ex. Non so perché, ma mi sapeva tanto di “Cena con delitto”, una di quelle serate organizzate dall’agenzia dove, nel bel mezzo della cena e puntualmente quando stavi gustandoti il piatto forte della casa, ti trovavi a dover risolvere un caso ed analizzare gli indizi come un vero detective. Interessante, non c’è dubbio, ma sicuramente non come un piatto di cannelloni ripieni di ragù o una pallina di profitterol. Anzi, la cena con delitto, era sicuramente il modo migliore per provocare un indigestione ai commensali: dovevo tenerne conto quando invitavo a cena qualcuno che mi stava sulle palle.
A mano a mano che mi avvicinavo al ristorante, l’ansia cresceva e l’aria diventava stranamente irrespirabile. Mi accesi una sigaretta e rimasi a guardare il fiume per qualche istante, cercando di rilassarmi. Sentivo la gente passarmi alle spalle, il ticchettio delle loro scarpe e la scia del loro profumo: fragranze fruttate si mischiavano a sentori di sandalo, pino silvestre, lavanda. Per un momento pensai di seguirli, arrotolandomi tra le essenze, di modo che i miei abiti ne assorbissero un po’; poi mi resi conto di quanto sarebbe stato ridicolo e privo di senso, quel comportamento, e quindi desistetti: certe scene sono concesse solo nei film, in effetti.
Lasciai che la sigaretta arrivasse fino al filtro, prima di spegnerla sul marmo del parapetto: dovevo essere sicura di aver assorbito tutto il necessario, per procedere.
Mi diressi verso il ristorante senza pensare. A dire la verità non era un vero e proprio ristorante. Non ci vedevamo da mesi e l'idea di ritrovarmi in uno spazio chiuso, schiacciata dall'odore aspro della cucina mixato confusamente con i profumi fruttati dei commensali, mi faceva sentire ancora più a disagio. Avevo optato per un piccolo locale, in centro, incastonato tra gli antichi edifici della stazione. Serviva aperitivi per la modica cifra di 8 euro: un bicchiere di vino ed una bidonata di antipasti e stucchini da riempire lo stomaco di un rinoceronte. Non che Ale si abbuffasse; in effetti non era proprio il tipo delle grandi mangiate, ma non potevo sapere se, col passare del tempo le sue abitudini fossero cambiate. Di sicuro, il fatto che il locale disponesse di un ampio spazio dehor, con tavolini e sedie opportunamente equidistanti tra di loro, aveva fatto il suo. Così avrei potuto trascorrere un'oretta senza incappare nell'intimità di una cena fuoriluogo e sarebbe stato qualcosa di leggero. Tutti i giovani si ritrovano per l'aperitivo, no? Vagonate di ragazzi si riversavano per le vie del centro tutte le santissime sere dalle 18.00 in poi, saltellando da un locale all'altro, alla ricerca del prezzo migliore o dello stuzzichino più invitante.
Il locale era abbastanza buio e devo ammettere che rimasi di sasso quando intravidi delle piccole candele bianco panna sparse qua e là, tra un piatto e l'altro. No, non bene. Non volevo rischiare che Ale pensasse ad un invito romantico o, peggio ancora, alla mia malsana voglia di sedurlo che, giuro, era riposta all'ultimo gradino nella scala delle cose da fare oggi. Uscii sul marciapiede e, fortunatamente, riuscii a trovare un tavolino in vimini, sistemato tra foglie di bambù finte. In effetti anche il bambù ed il vimini avevano un nonsoché di selvaggio ed avrebbero potuto essere un contorno ideale per una femme fatale e la sua preda, ma speravo che Ale non facesse viaggiare la mente così tanto da incappare in un pensiero simile.
Rimasi ferma, dinanzi alla porta del locale per un bel quarto d'ora prima di vedere il suo volto intagliarsi tra la folla. Non ero particolarmente a disagio, era come se vedessi un mio vecchio amico. Indossava un maglione nero, il colore che usava più di frequente. Doveva essersi fatto la barba da qualche giorno, dato che piccoli spuntoni scuri facevano capolino dal mento e dalle guance rosee. Aveva le spalle larghe, infatti le maniche delle maglie continuavano ad arrivargli poco sopra i polsi, malgrado gli avessi detto più volte che una “L”, sì, sarebbe stata un po’ morbida sul petto, ma alla fine avrebbe risolto il problema degli avambracci nudi. Evidentemente non aveva donne o, se le aveva, non si preoccupavano di puntualizzare il particolare.
Avanzava lento tra la folla stanziata sotto i portici, o forse ero io a vederlo in versione ralenti come in quelle pubblicità di profumi maschili in bianco e nero. Nella mia mente si accavallavano mille pensieri: cosa penserà, cosa mi dirà ma soprattutto perché accidenti sono qui? Non potevo restarmene a casa come ogni sera a guardarmi uno stupido programma televisivo? Il solo riconoscere la sua fisionomia nella confusione aveva scatenato in me tutta quella serie di emozioni che si provano non all’incontro con un ex o con un amico bensì al primo appuntamento con un perfetto estraneo… senza nemmeno pensarci aprii la borsetta ed estrassi uno specchietto portatile e controllai che il mio viso fosse in ordine: “perfetta” pensai e subito dopo “ma sei impazzita?!” il mio cuore batteva all’impazzata, ogni frazione di secondo aumentava la sua velocità; il respiro si faceva sempre più corto man mano che lui si avvicinava, infine eccolo li di fronte a me il suo bel viso, i lineamenti perfetti, quegli occhi meravigliosi che sembravano zaffiri incastonati nel suo volto e infine il suo sguardo accattivante e scrutatore.. mi abbracciò e in quell’istante il mio cuore si fermò.
Cosa diamine mi stava succedendo? Mi sentivo un’adolescente al primo appuntamento, eppure il nostro coinvolgimento sentimentale era chiuso da tempo: ci sedemmo e in quel momento guardando dall’altra parte della piazza notai qualcosa che fece riaffiorare alla mente il ricordo del nostro incontro e per qualche istante fui assente, trasportata in un altro luogo lontano nel tempo.
Un locale come tanti in quella piazza, la più grande d’Europa, lo guardavo distrattamente ma il trasporto del ricordo era forte; tutto tornò alla mente…
Ero così tesa, arrivai all’appuntamento con largo anticipo: era il 16 maggio 2010 (e chi se la scorda quella data, rimasta impressa nella mia mente come fosse stata incisa su una pietra), le giornate si erano allungate e cominciava ad esserci quel lieve tepore tardo primaverile creato da un primo sole caldo che scalda il cuore dopo un inverno lungo e gelido.
L’attendevo ma allo stesso tempo avevo una gran voglia di scappare a gambe levate, era da tanto che non uscivo con qualcuno e le mie ultime esperienze erano state con soggetti di dubbia moralità che avevano fatto più male che bene, per questo ero stata titubante nei suoi confronti ma nessuno mi vietava di dargli una possibilità. Feci di tutto per arrivare in ritardo ma a quanto pare quel blando tentativo fu vano dato che mi avvisò di esserlo anche lui e cosi fui la prima a presentarmi in piazza. Mi sedetti su una panchina dall’altro lato della strada di fronte al locale, “Hey soul sister” dei Train nelle orecchie, mi guardavo intorno: la piazza all’imbrunire toglieva il fiato: gli archi riflettevano il rosato del tramonto e si vedeva venere fare capolino nel cielo accanto alla luna; le persone che passeggiavano sotto i portici diventavano ombre in lontananza, i bambini correvano da una parte all’altra festosi o genitori poco distanti chiacchieravano, dietro di me dai dehors dei locali pieni di clienti intenti a fare aperitivo sentivo chiacchierare… tutto questo era bellissimo, era la piazza che stava riprendendo vita in vista dell’estate.
Mi ero seduta lontano dal locale, speravo di vederlo arrivare così da sapere da quale lato avvicinarmi: in cuor mio volevo stupirlo, magari stregarlo con lo sguardo magnetico e con una camminata trionfale, ad un certo punto lo vidi passare mi alzai per andare verso di lui e beh non fu tanto gloriosa la mia entrata dato che inciampai in una mattonella fuori posto… lui rise e anche io, mi baciò sulla guancia, mi prese sotto braccio e mi accompagnò dentro. Restammo un po’ li a parlare e lui tentava dei contatti fisici, ma io mi irrigidivo il panico mi stava invadendo sempre più, pagò il conto e andammo a fare un giro: salimmo per la collina passando dalla panoramica, una vista meravigliosa.. io tremavo come una foglia e non capivo bene il perché, lui, notando quel mio stato di angoscia si fermò e mi abbracciò: un abbraccio caldo, morbido, profumato Jean Paul Gautier pour homme; mi strinse forte a se e mi baciò la fronte come si fa con i bambini piccoli quando sono spaventati e io mi sentii a casa alzai la testa e lo baciai…
I ricordi si affievolirono in un baleno, lasciando spazio al caos della sera, quello in cui ti trovi immersa per caso, passeggiando sotto i portici, quello che ti rimbomba nella testa fino a casa e continua tra le lenzuola, mentre cerchi di dormire.
Provai a riprendere le redini della situazione e lo invitai ad entrare nel locale. Avevo voglia di abbracciarlo, ma non so perché, la paura di essere fuori luogo frenava ogni mio tentativo di avvicinamento. C'erano così tante cose che volevo raccontagli, talmente tante che, in quel momento non mi veniva in mente nulla: tutto era impilato nella memoria come un cumulo di pacchi postali, mai spediti e che, forse, sarebbero rimasti lì ancora per molto tempo.
Mi sedetti su uno sgabello, cercando di non cadere e riempii il piatto di pietanze. Quando si avvicinò per prendere una manciata di salatini, un'ondata di profumo m'invase le narici, atterrando completamente i miei sensi (lo stesso di due anni prima, lo stesso di sempre).
Avrei voluto chiedergli se c'era una donna o, meglio, se si era innamorato, ma non sapevo se, in ogni caso, mi avrebbe detto la verità.
Dopo aver parlato del lavoro, della famiglia, delle prospettive di vita rimaste inabissate dalla routine di ogni giorno, uscimmo a fumare una sigaretta, la solita che ci concedevamo quando avevamo mangiato troppo e volevamo prenderci un momento di pausa.
Porgendogli l'accendino, le nostre dita si sfiorarono, dando vita ad una scossa che mi percorse l'intero organismo. In quel momento, ci guardammo, con gli stessi occhi di sempre, quelli che rimangono fissi gli uni negli altri e che penetrano nelle viscere del corpo come lame taglienti. In quell'attimo ci fu l'universo, credo, il tutto. Come se tutto diventasse inamovibile e dentro un contatto ci fosse tutto ciò di cui si ha davvero bisogno. Solo che questi attimi durano quanto una lancetta che si sposta da un numero all'altro. E poi puf!, se ne vanno come sono venuti, schiacciati dalle chiacchiere dei passanti.
La serata sembrava giunta al termine, in quel momento, il tutto era diventato nulla, era la fine; dopo mesi di silenzio, l’attesa estenuante stava finendo cosi?! Guardai nei suoi occhi cercando un segno di un sentimento simile, come l’appello silenzioso del condannato a morte sul patibolo e poi lo vidi in un angolo nascosto dei suoi pensieri la stessa sensazione che mi tormentava la stava provando anche lui “Ti prego non andare via è troppo presto..” lo abbracciai, lui mi abbracciò e rimanemmo li circondati dal caos della città e per un momento che sembrò durare un’eternità eravamo solo noi due il resto era solo rumore.
ale&vale
Marcai il labbro superiore, seguendo i contorni dell’arco di Cupido e scendendo verso l’incavo con il labbro inferiore. Corressi le sbavature con un fazzoletto di carta, inumidito dalla mia saliva e guardai la mia immagine riflessa nello specchio di fronte. Con le labbra carnose che mi ritrovavo, di certo non potevo passare inosservata: anzi, se piegavo il volto ed arricciavo la bocca, potevo addirittura rasentare l’eccessivo. Avevo optato per un vestito nero, classico, formale ed informale allo stesso tempo, con un scollo a “v” sul petto e niente spacchi sui lati. Grazie alla luce calda dell’abat-jour, dall’immagine che avevo di fronte, trapelava una certa sensualità che, aiutata dal rossetto, restava camuffata, tuttavia, dall’artificiosità dell’abito.
Rimasi incollata di fronte allo specchio per un buon quarto d’ora, cercando di far scivolare al meglio il tessuto sui fianchi ed aggiustando i dettagli. Nel tentativo di chiudere la zip lungo la schiena, l’occhio mi cadde su una piccola scatola in legno, sopra il bourot, un piccolo scrigno che avevo racimolato fra i vecchi mobili della nonna.
Quando avevo comprato quel monolocale, nell’hinterland di Torino, ero rimasta talmente delusa dei suppellettili con i quali i precedenti locatari avevano arredato l’ambiente che, ero stata costretta a cambiare tutto. Perlustrando la vecchia casa di mia nonna, avevo trovato qualche mobile degli anni Trenta, fatto restaurare a dovere da mio padre e me ne ero appropriata senza troppe scuse. In effetti, l’appartamento appariva tutto fuorché moderno, ma col tempo avevo finito per abituarmici. Ora, quel piccolo scrigno, ornato di velluto rosso, aveva catturato la mia attenzione. Aprendolo vi trovai, fra le altre cianfrusaglie, anche una piccola fede in oro, sicuramente risalente alla notte dei tempi, tramandata di madre in figlia per chissà quanto tempo. Per almeno una decina di volte mi chiesi se era il caso di metterla. Insomma, stavo andando a cena con il mio ex, e già questo sarebbe bastato per classificare la serata fra le cose senza senso. Per di più, avevo indossato un abito strettamente formale, che mettevo di rado ed un rossetto praticamente vergine. No, forse non era esattamente il momento migliore per sfoggiare tale brilluccichio in onore e ricordo dei miei avi. Riposi l’anello nello scrigno e ritirai gli abiti che avevo provato prima di scegliere quello che indossavo, malamente gettati sul letto, diedi ordine alle lenzuola ed uscii di casa, arrancando il cappotto all’entrata.
Non che fossi particolarmente soddisfatta dell’ubicazione di quel monolocale, devo ammetterlo; oltre alla vicinanza col Po’, non riuscivo ad intravedere aspetti positivi, malgrado gli sforzi. Il condominio risaliva agli anni Venti ed aveva muri talmente spessi che non li avrebbe distrutti neppure un ordigno nucleare. E la cosa più spiacevole era che, nelle giornate d’inverno, trattenevano gelo ed umidità come carta assorbente. Attraversai il corso, dirigendomi verso il fiume e m’incamminai verso la piazza centrale. Il buio era sceso già da un pezzo, nascondendo le imperfezioni dei volti e camuffando le chiazze di smog che si estendevano a macchia di leopardo sulle pareti degli edifici, inconfutabile segno di una città schiava del traffico.
L’unica nota positiva, trapelava dallo scroscio dell’acqua che, con velocità disarmante, sbatteva sugli argini e procedeva verso la pianura. C’era un’altra città, nel fiume. La città fatta di ombre e di luci che si riflettevano ballerine tra le onde; una città silenziosa, più pulita, nella quale potevi immergerti facendo canottaggio o su uno dei tanti battelli attraccati al Valentino. Non sempre, ovviamente. Nei mesi invernali tutto era statico, fermo, in attesa della rinascita e del rifiorire della natura e dei turisti. Io, nell’acqua, mi ci perdevo ogni giorno, anche senza avere il culo adagiato su una canoa. Ma questa è un’altra storia.
A cena con l’ex. Non so perché, ma mi sapeva tanto di “Cena con delitto”, una di quelle serate organizzate dall’agenzia dove, nel bel mezzo della cena e puntualmente quando stavi gustandoti il piatto forte della casa, ti trovavi a dover risolvere un caso ed analizzare gli indizi come un vero detective. Interessante, non c’è dubbio, ma sicuramente non come un piatto di cannelloni ripieni di ragù o una pallina di profitterol. Anzi, la cena con delitto, era sicuramente il modo migliore per provocare un indigestione ai commensali: dovevo tenerne conto quando invitavo a cena qualcuno che mi stava sulle palle.
A mano a mano che mi avvicinavo al ristorante, l’ansia cresceva e l’aria diventava stranamente irrespirabile. Mi accesi una sigaretta e rimasi a guardare il fiume per qualche istante, cercando di rilassarmi. Sentivo la gente passarmi alle spalle, il ticchettio delle loro scarpe e la scia del loro profumo: fragranze fruttate si mischiavano a sentori di sandalo, pino silvestre, lavanda. Per un momento pensai di seguirli, arrotolandomi tra le essenze, di modo che i miei abiti ne assorbissero un po’; poi mi resi conto di quanto sarebbe stato ridicolo e privo di senso, quel comportamento, e quindi desistetti: certe scene sono concesse solo nei film, in effetti.
Lasciai che la sigaretta arrivasse fino al filtro, prima di spegnerla sul marmo del parapetto: dovevo essere sicura di aver assorbito tutto il necessario, per procedere.
Mi diressi verso il ristorante senza pensare. A dire la verità non era un vero e proprio ristorante. Non ci vedevamo da mesi e l'idea di ritrovarmi in uno spazio chiuso, schiacciata dall'odore aspro della cucina mixato confusamente con i profumi fruttati dei commensali, mi faceva sentire ancora più a disagio. Avevo optato per un piccolo locale, in centro, incastonato tra gli antichi edifici della stazione. Serviva aperitivi per la modica cifra di 8 euro: un bicchiere di vino ed una bidonata di antipasti e stucchini da riempire lo stomaco di un rinoceronte. Non che Ale si abbuffasse; in effetti non era proprio il tipo delle grandi mangiate, ma non potevo sapere se, col passare del tempo le sue abitudini fossero cambiate. Di sicuro, il fatto che il locale disponesse di un ampio spazio dehor, con tavolini e sedie opportunamente equidistanti tra di loro, aveva fatto il suo. Così avrei potuto trascorrere un'oretta senza incappare nell'intimità di una cena fuoriluogo e sarebbe stato qualcosa di leggero. Tutti i giovani si ritrovano per l'aperitivo, no? Vagonate di ragazzi si riversavano per le vie del centro tutte le santissime sere dalle 18.00 in poi, saltellando da un locale all'altro, alla ricerca del prezzo migliore o dello stuzzichino più invitante.
Il locale era abbastanza buio e devo ammettere che rimasi di sasso quando intravidi delle piccole candele bianco panna sparse qua e là, tra un piatto e l'altro. No, non bene. Non volevo rischiare che Ale pensasse ad un invito romantico o, peggio ancora, alla mia malsana voglia di sedurlo che, giuro, era riposta all'ultimo gradino nella scala delle cose da fare oggi. Uscii sul marciapiede e, fortunatamente, riuscii a trovare un tavolino in vimini, sistemato tra foglie di bambù finte. In effetti anche il bambù ed il vimini avevano un nonsoché di selvaggio ed avrebbero potuto essere un contorno ideale per una femme fatale e la sua preda, ma speravo che Ale non facesse viaggiare la mente così tanto da incappare in un pensiero simile.
Rimasi ferma, dinanzi alla porta del locale per un bel quarto d'ora prima di vedere il suo volto intagliarsi tra la folla. Non ero particolarmente a disagio, era come se vedessi un mio vecchio amico. Indossava un maglione nero, il colore che usava più di frequente. Doveva essersi fatto la barba da qualche giorno, dato che piccoli spuntoni scuri facevano capolino dal mento e dalle guance rosee. Aveva le spalle larghe, infatti le maniche delle maglie continuavano ad arrivargli poco sopra i polsi, malgrado gli avessi detto più volte che una “L”, sì, sarebbe stata un po’ morbida sul petto, ma alla fine avrebbe risolto il problema degli avambracci nudi. Evidentemente non aveva donne o, se le aveva, non si preoccupavano di puntualizzare il particolare.
Avanzava lento tra la folla stanziata sotto i portici, o forse ero io a vederlo in versione ralenti come in quelle pubblicità di profumi maschili in bianco e nero. Nella mia mente si accavallavano mille pensieri: cosa penserà, cosa mi dirà ma soprattutto perché accidenti sono qui? Non potevo restarmene a casa come ogni sera a guardarmi uno stupido programma televisivo? Il solo riconoscere la sua fisionomia nella confusione aveva scatenato in me tutta quella serie di emozioni che si provano non all’incontro con un ex o con un amico bensì al primo appuntamento con un perfetto estraneo… senza nemmeno pensarci aprii la borsetta ed estrassi uno specchietto portatile e controllai che il mio viso fosse in ordine: “perfetta” pensai e subito dopo “ma sei impazzita?!” il mio cuore batteva all’impazzata, ogni frazione di secondo aumentava la sua velocità; il respiro si faceva sempre più corto man mano che lui si avvicinava, infine eccolo li di fronte a me il suo bel viso, i lineamenti perfetti, quegli occhi meravigliosi che sembravano zaffiri incastonati nel suo volto e infine il suo sguardo accattivante e scrutatore.. mi abbracciò e in quell’istante il mio cuore si fermò.
Cosa diamine mi stava succedendo? Mi sentivo un’adolescente al primo appuntamento, eppure il nostro coinvolgimento sentimentale era chiuso da tempo: ci sedemmo e in quel momento guardando dall’altra parte della piazza notai qualcosa che fece riaffiorare alla mente il ricordo del nostro incontro e per qualche istante fui assente, trasportata in un altro luogo lontano nel tempo.
Un locale come tanti in quella piazza, la più grande d’Europa, lo guardavo distrattamente ma il trasporto del ricordo era forte; tutto tornò alla mente…
Ero così tesa, arrivai all’appuntamento con largo anticipo: era il 16 maggio 2010 (e chi se la scorda quella data, rimasta impressa nella mia mente come fosse stata incisa su una pietra), le giornate si erano allungate e cominciava ad esserci quel lieve tepore tardo primaverile creato da un primo sole caldo che scalda il cuore dopo un inverno lungo e gelido.
L’attendevo ma allo stesso tempo avevo una gran voglia di scappare a gambe levate, era da tanto che non uscivo con qualcuno e le mie ultime esperienze erano state con soggetti di dubbia moralità che avevano fatto più male che bene, per questo ero stata titubante nei suoi confronti ma nessuno mi vietava di dargli una possibilità. Feci di tutto per arrivare in ritardo ma a quanto pare quel blando tentativo fu vano dato che mi avvisò di esserlo anche lui e cosi fui la prima a presentarmi in piazza. Mi sedetti su una panchina dall’altro lato della strada di fronte al locale, “Hey soul sister” dei Train nelle orecchie, mi guardavo intorno: la piazza all’imbrunire toglieva il fiato: gli archi riflettevano il rosato del tramonto e si vedeva venere fare capolino nel cielo accanto alla luna; le persone che passeggiavano sotto i portici diventavano ombre in lontananza, i bambini correvano da una parte all’altra festosi o genitori poco distanti chiacchieravano, dietro di me dai dehors dei locali pieni di clienti intenti a fare aperitivo sentivo chiacchierare… tutto questo era bellissimo, era la piazza che stava riprendendo vita in vista dell’estate.
Mi ero seduta lontano dal locale, speravo di vederlo arrivare così da sapere da quale lato avvicinarmi: in cuor mio volevo stupirlo, magari stregarlo con lo sguardo magnetico e con una camminata trionfale, ad un certo punto lo vidi passare mi alzai per andare verso di lui e beh non fu tanto gloriosa la mia entrata dato che inciampai in una mattonella fuori posto… lui rise e anche io, mi baciò sulla guancia, mi prese sotto braccio e mi accompagnò dentro. Restammo un po’ li a parlare e lui tentava dei contatti fisici, ma io mi irrigidivo il panico mi stava invadendo sempre più, pagò il conto e andammo a fare un giro: salimmo per la collina passando dalla panoramica, una vista meravigliosa.. io tremavo come una foglia e non capivo bene il perché, lui, notando quel mio stato di angoscia si fermò e mi abbracciò: un abbraccio caldo, morbido, profumato Jean Paul Gautier pour homme; mi strinse forte a se e mi baciò la fronte come si fa con i bambini piccoli quando sono spaventati e io mi sentii a casa alzai la testa e lo baciai…
I ricordi si affievolirono in un baleno, lasciando spazio al caos della sera, quello in cui ti trovi immersa per caso, passeggiando sotto i portici, quello che ti rimbomba nella testa fino a casa e continua tra le lenzuola, mentre cerchi di dormire.
Provai a riprendere le redini della situazione e lo invitai ad entrare nel locale. Avevo voglia di abbracciarlo, ma non so perché, la paura di essere fuori luogo frenava ogni mio tentativo di avvicinamento. C'erano così tante cose che volevo raccontagli, talmente tante che, in quel momento non mi veniva in mente nulla: tutto era impilato nella memoria come un cumulo di pacchi postali, mai spediti e che, forse, sarebbero rimasti lì ancora per molto tempo.
Mi sedetti su uno sgabello, cercando di non cadere e riempii il piatto di pietanze. Quando si avvicinò per prendere una manciata di salatini, un'ondata di profumo m'invase le narici, atterrando completamente i miei sensi (lo stesso di due anni prima, lo stesso di sempre).
Avrei voluto chiedergli se c'era una donna o, meglio, se si era innamorato, ma non sapevo se, in ogni caso, mi avrebbe detto la verità.
Dopo aver parlato del lavoro, della famiglia, delle prospettive di vita rimaste inabissate dalla routine di ogni giorno, uscimmo a fumare una sigaretta, la solita che ci concedevamo quando avevamo mangiato troppo e volevamo prenderci un momento di pausa.
Porgendogli l'accendino, le nostre dita si sfiorarono, dando vita ad una scossa che mi percorse l'intero organismo. In quel momento, ci guardammo, con gli stessi occhi di sempre, quelli che rimangono fissi gli uni negli altri e che penetrano nelle viscere del corpo come lame taglienti. In quell'attimo ci fu l'universo, credo, il tutto. Come se tutto diventasse inamovibile e dentro un contatto ci fosse tutto ciò di cui si ha davvero bisogno. Solo che questi attimi durano quanto una lancetta che si sposta da un numero all'altro. E poi puf!, se ne vanno come sono venuti, schiacciati dalle chiacchiere dei passanti.
La serata sembrava giunta al termine, in quel momento, il tutto era diventato nulla, era la fine; dopo mesi di silenzio, l’attesa estenuante stava finendo cosi?! Guardai nei suoi occhi cercando un segno di un sentimento simile, come l’appello silenzioso del condannato a morte sul patibolo e poi lo vidi in un angolo nascosto dei suoi pensieri la stessa sensazione che mi tormentava la stava provando anche lui “Ti prego non andare via è troppo presto..” lo abbracciai, lui mi abbracciò e rimanemmo li circondati dal caos della città e per un momento che sembrò durare un’eternità eravamo solo noi due il resto era solo rumore.
ale&vale
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