lunedì 29 luglio 2013

Un incontro

"UN INCONTRO"

Marcai il labbro superiore, seguendo i contorni dell’arco di Cupido e scendendo verso l’incavo con il labbro inferiore. Corressi le sbavature con un fazzoletto di carta, inumidito dalla mia saliva e guardai la mia immagine riflessa nello specchio di fronte. Con le labbra carnose che mi ritrovavo, di certo non potevo passare inosservata: anzi, se piegavo il volto ed arricciavo la bocca, potevo addirittura rasentare l’eccessivo. Avevo optato per un vestito nero, classico, formale ed informale allo stesso tempo, con un scollo a “v” sul petto e niente spacchi sui lati. Grazie alla luce calda dell’abat-jour, dall’immagine che avevo di fronte, trapelava una certa sensualità che, aiutata dal rossetto, restava camuffata, tuttavia, dall’artificiosità dell’abito.
Rimasi incollata di fronte allo specchio per un buon quarto d’ora, cercando di far scivolare al meglio il tessuto sui fianchi ed aggiustando i dettagli. Nel tentativo di chiudere la zip lungo la schiena, l’occhio mi cadde su una piccola scatola in legno, sopra il bourot, un piccolo scrigno che avevo racimolato fra i vecchi mobili della nonna.
Quando avevo comprato quel monolocale, nell’hinterland di Torino, ero rimasta talmente delusa dei suppellettili con i quali i precedenti locatari avevano arredato l’ambiente che, ero stata costretta a cambiare tutto. Perlustrando la vecchia casa di mia nonna, avevo trovato qualche mobile degli anni Trenta, fatto restaurare a dovere da mio padre e me ne ero appropriata senza troppe scuse. In effetti, l’appartamento appariva tutto fuorché moderno, ma col tempo avevo finito per abituarmici. Ora, quel piccolo scrigno, ornato di velluto rosso, aveva catturato la mia attenzione. Aprendolo vi trovai, fra le altre cianfrusaglie, anche una piccola fede in oro, sicuramente risalente alla notte dei tempi, tramandata di madre in figlia per chissà quanto tempo. Per almeno una decina di volte mi chiesi se era il caso di metterla. Insomma, stavo andando a cena con il mio ex, e già questo sarebbe bastato per classificare la serata fra le cose senza senso. Per di più, avevo indossato un abito strettamente formale, che mettevo di rado ed un rossetto praticamente vergine. No, forse non era esattamente il momento migliore per sfoggiare tale brilluccichio in onore e ricordo dei miei avi. Riposi l’anello nello scrigno e ritirai gli abiti che avevo provato prima di scegliere quello che indossavo, malamente gettati sul letto, diedi ordine alle lenzuola ed uscii di casa, arrancando il cappotto all’entrata.
Non che fossi particolarmente soddisfatta dell’ubicazione di quel monolocale, devo ammetterlo; oltre alla vicinanza col Po’, non riuscivo ad intravedere aspetti positivi, malgrado gli sforzi. Il condominio risaliva agli anni Venti ed aveva muri talmente spessi che non li avrebbe distrutti neppure un ordigno nucleare. E la cosa più spiacevole era che, nelle giornate d’inverno, trattenevano gelo ed umidità come carta assorbente. Attraversai il corso, dirigendomi verso il fiume e m’incamminai verso la piazza centrale. Il buio era sceso già da un pezzo, nascondendo le imperfezioni dei volti e camuffando le chiazze di smog che si estendevano a macchia di leopardo sulle pareti degli edifici, inconfutabile segno di una città schiava del traffico.
L’unica nota positiva, trapelava dallo scroscio dell’acqua che, con velocità disarmante, sbatteva sugli argini e procedeva verso la pianura. C’era un’altra città, nel fiume. La città fatta di ombre e di luci che si riflettevano ballerine tra le onde; una città silenziosa, più pulita, nella quale potevi immergerti facendo canottaggio o su uno dei tanti battelli attraccati al Valentino. Non sempre, ovviamente. Nei mesi invernali tutto era statico, fermo, in attesa della rinascita e del rifiorire della natura e dei turisti. Io, nell’acqua, mi ci perdevo ogni giorno, anche senza avere il culo adagiato su una canoa. Ma questa è un’altra storia.
A cena con l’ex. Non so perché, ma mi sapeva tanto di “Cena con delitto”, una di quelle serate organizzate dall’agenzia dove, nel bel mezzo della cena e puntualmente quando stavi gustandoti il piatto forte della casa, ti trovavi a dover risolvere un caso ed analizzare gli indizi come un vero detective. Interessante, non c’è dubbio, ma sicuramente non come un piatto di cannelloni ripieni di ragù o una pallina di profitterol. Anzi, la cena con delitto, era sicuramente il modo migliore per provocare un indigestione ai commensali: dovevo tenerne conto quando invitavo a cena qualcuno che mi stava sulle palle.
A mano a mano che mi avvicinavo al ristorante, l’ansia cresceva e l’aria diventava stranamente irrespirabile. Mi accesi una sigaretta e rimasi a guardare il fiume per qualche istante, cercando di rilassarmi. Sentivo la gente passarmi alle spalle, il ticchettio delle loro scarpe e la scia del loro profumo: fragranze fruttate si mischiavano a sentori di sandalo, pino silvestre, lavanda. Per un momento pensai di seguirli, arrotolandomi tra le essenze, di modo che i miei abiti ne assorbissero un po’; poi mi resi conto di quanto sarebbe stato ridicolo e privo di senso, quel comportamento, e quindi desistetti: certe scene sono concesse solo nei film, in effetti.
Lasciai che la sigaretta arrivasse fino al filtro, prima di spegnerla sul marmo del parapetto: dovevo essere sicura di aver assorbito tutto il necessario, per procedere.
Mi diressi verso il ristorante senza pensare. A dire la verità non era un vero e proprio ristorante. Non ci vedevamo da mesi e l'idea di ritrovarmi in uno spazio chiuso, schiacciata dall'odore aspro della cucina mixato confusamente con i profumi fruttati dei commensali, mi faceva sentire ancora più a disagio. Avevo optato per un piccolo locale, in centro, incastonato tra gli antichi edifici della stazione. Serviva aperitivi per la modica cifra di 8 euro: un bicchiere di vino ed una bidonata di antipasti e stucchini da riempire lo stomaco di un rinoceronte. Non che Ale si abbuffasse; in effetti non era proprio il tipo delle grandi mangiate, ma non potevo sapere se, col passare del tempo le sue abitudini fossero cambiate. Di sicuro, il fatto che il locale disponesse di un ampio spazio dehor, con tavolini e sedie opportunamente equidistanti tra di loro, aveva fatto il suo. Così avrei potuto trascorrere un'oretta senza incappare nell'intimità di una cena fuoriluogo e sarebbe stato qualcosa di leggero. Tutti i giovani si ritrovano per l'aperitivo, no? Vagonate di ragazzi si riversavano per le vie del centro tutte le santissime sere dalle 18.00 in poi, saltellando da un locale all'altro, alla ricerca del prezzo migliore o dello stuzzichino più invitante.
Il locale era abbastanza buio e devo ammettere che rimasi di sasso quando intravidi delle piccole candele bianco panna sparse qua e là, tra un piatto e l'altro. No, non bene. Non volevo rischiare che Ale pensasse ad un invito romantico o, peggio ancora, alla mia malsana voglia di sedurlo che, giuro, era riposta all'ultimo gradino nella scala delle cose da fare oggi. Uscii sul marciapiede e, fortunatamente, riuscii a trovare un tavolino in vimini, sistemato tra foglie di bambù finte. In effetti anche il bambù ed il vimini avevano un nonsoché di selvaggio ed avrebbero potuto essere un contorno ideale per una femme fatale e la sua preda, ma speravo che Ale non facesse viaggiare la mente così tanto da incappare in un pensiero simile.
Rimasi ferma, dinanzi alla porta del locale per un bel quarto d'ora prima di vedere il suo volto intagliarsi tra la folla. Non ero particolarmente a disagio, era come se vedessi un mio vecchio amico. Indossava un maglione nero, il colore che usava più di frequente. Doveva essersi fatto la barba da qualche giorno, dato che piccoli spuntoni scuri facevano capolino dal mento e dalle guance rosee. Aveva le spalle larghe, infatti le maniche delle maglie continuavano ad arrivargli poco sopra i polsi, malgrado gli avessi detto più volte che una “L”, sì, sarebbe stata un po’ morbida sul petto, ma alla fine avrebbe risolto il problema degli avambracci nudi. Evidentemente non aveva donne o, se le aveva, non si preoccupavano di puntualizzare il particolare.
Avanzava lento tra la folla stanziata sotto i portici, o forse ero io a vederlo in versione ralenti come in quelle pubblicità di profumi maschili in bianco e nero. Nella mia mente si accavallavano mille pensieri: cosa penserà, cosa mi dirà ma soprattutto perché accidenti sono qui? Non potevo restarmene a casa come ogni sera a guardarmi uno stupido programma televisivo? Il solo riconoscere la sua fisionomia nella confusione aveva scatenato in me tutta quella serie di emozioni che si provano non all’incontro con un ex o con un amico bensì al primo appuntamento con un perfetto estraneo… senza nemmeno pensarci aprii la borsetta ed estrassi uno specchietto portatile e controllai che il mio viso fosse in ordine: “perfetta” pensai e subito dopo “ma sei impazzita?!” il mio cuore batteva all’impazzata, ogni frazione di secondo aumentava la sua velocità; il respiro si faceva sempre più corto man mano che lui si avvicinava, infine eccolo li di fronte a me il suo bel viso, i lineamenti perfetti, quegli occhi meravigliosi che sembravano zaffiri incastonati nel suo volto e infine il suo sguardo accattivante e scrutatore.. mi abbracciò e in quell’istante il mio cuore si fermò.
Cosa diamine mi stava succedendo? Mi sentivo un’adolescente al primo appuntamento, eppure il nostro coinvolgimento sentimentale era chiuso da tempo: ci sedemmo e in quel momento guardando dall’altra parte della piazza notai qualcosa che fece riaffiorare alla mente il ricordo del nostro incontro e per qualche istante fui assente, trasportata in un altro luogo lontano nel tempo.
Un locale come tanti in quella piazza, la più grande d’Europa, lo guardavo distrattamente ma il trasporto del ricordo era forte; tutto tornò alla mente…
Ero così tesa, arrivai all’appuntamento con largo anticipo: era il 16 maggio 2010 (e chi se la scorda quella data, rimasta impressa nella mia mente come fosse stata incisa su una pietra), le giornate si erano allungate e cominciava ad esserci quel lieve tepore tardo primaverile creato da un primo sole caldo che scalda il cuore dopo un inverno lungo e gelido.
L’attendevo ma allo stesso tempo avevo una gran voglia di scappare a gambe levate, era da tanto che non uscivo con qualcuno e le mie ultime esperienze erano state con soggetti di dubbia moralità che avevano fatto più male che bene, per questo ero stata titubante nei suoi confronti ma nessuno mi vietava di dargli una possibilità. Feci di tutto per arrivare in ritardo ma a quanto pare quel blando tentativo fu vano dato che mi avvisò di esserlo anche lui e cosi fui la prima a presentarmi in piazza. Mi sedetti su una panchina dall’altro lato della strada di fronte al locale, “Hey soul sister” dei Train nelle orecchie, mi guardavo intorno: la piazza all’imbrunire toglieva il fiato: gli archi riflettevano il rosato del tramonto e si vedeva venere fare capolino nel cielo accanto alla luna; le persone che passeggiavano sotto i portici diventavano ombre in lontananza, i bambini correvano da una parte all’altra festosi o genitori poco distanti chiacchieravano, dietro di me dai dehors dei locali pieni di clienti intenti a fare aperitivo sentivo chiacchierare… tutto questo era bellissimo, era la piazza che stava riprendendo vita in vista dell’estate.
Mi ero seduta lontano dal locale, speravo di vederlo arrivare così da sapere da quale lato avvicinarmi: in cuor mio volevo stupirlo, magari stregarlo con lo sguardo magnetico e con una camminata trionfale, ad un certo punto lo vidi passare mi alzai per andare verso di lui e beh non fu tanto gloriosa la mia entrata dato che inciampai in una mattonella fuori posto… lui rise e anche io, mi baciò sulla guancia, mi prese sotto braccio e mi accompagnò dentro. Restammo un po’ li a parlare e lui tentava dei contatti fisici, ma io mi irrigidivo il panico mi stava invadendo sempre più, pagò il conto e andammo a fare un giro: salimmo per la collina passando dalla panoramica, una vista meravigliosa.. io tremavo come una foglia e non capivo bene il perché, lui, notando quel mio stato di angoscia si fermò e mi abbracciò: un abbraccio caldo, morbido, profumato Jean Paul Gautier pour homme; mi strinse forte a se e mi baciò la fronte come si fa con i bambini piccoli quando sono spaventati e io mi sentii a casa alzai la testa e lo baciai…

I ricordi si affievolirono in un baleno, lasciando spazio al caos della sera, quello in cui ti trovi immersa per caso, passeggiando sotto i portici, quello che ti rimbomba nella testa fino a casa e continua tra le lenzuola, mentre cerchi di dormire.
Provai a riprendere le redini della situazione e lo invitai ad entrare nel locale. Avevo voglia di abbracciarlo, ma non so perché, la paura di essere fuori luogo frenava ogni mio tentativo di avvicinamento. C'erano così tante cose che volevo raccontagli, talmente tante che, in quel momento non mi veniva in mente nulla: tutto era impilato nella memoria come un cumulo di pacchi postali, mai spediti e che, forse, sarebbero rimasti lì ancora per molto tempo.
Mi sedetti su uno sgabello, cercando di non cadere e riempii il piatto di pietanze. Quando si avvicinò per prendere una manciata di salatini, un'ondata di profumo m'invase le narici, atterrando completamente i miei sensi (lo stesso di due anni prima, lo stesso di sempre).
Avrei voluto chiedergli se c'era una donna o, meglio, se si era innamorato, ma non sapevo se, in ogni caso, mi avrebbe detto la verità.
Dopo aver parlato del lavoro, della famiglia, delle prospettive di vita rimaste inabissate dalla routine di ogni giorno, uscimmo a fumare una sigaretta, la solita che ci concedevamo quando avevamo mangiato troppo e volevamo prenderci un momento di pausa.
Porgendogli l'accendino, le nostre dita si sfiorarono, dando vita ad una scossa che mi percorse l'intero organismo. In quel momento, ci guardammo, con gli stessi occhi di sempre, quelli che rimangono fissi gli uni negli altri e che penetrano nelle viscere del corpo come lame taglienti. In quell'attimo ci fu l'universo, credo, il tutto. Come se tutto diventasse inamovibile e dentro un contatto ci fosse tutto ciò di cui si ha davvero bisogno. Solo che questi attimi durano quanto una lancetta che si sposta da un numero all'altro. E poi puf!, se ne vanno come sono venuti, schiacciati dalle chiacchiere dei passanti.

La serata sembrava giunta al termine, in quel momento, il tutto era diventato nulla, era la fine; dopo mesi di silenzio, l’attesa estenuante stava finendo cosi?! Guardai nei suoi occhi cercando un segno di un sentimento simile, come l’appello silenzioso del condannato a morte sul patibolo e poi lo vidi in un angolo nascosto dei suoi pensieri la stessa sensazione che mi tormentava la stava provando anche lui “Ti prego non andare via è troppo presto..” lo abbracciai, lui mi abbracciò e rimanemmo li circondati dal caos della città e per un momento che sembrò durare un’eternità eravamo solo noi due il resto era solo rumore.

ale&vale



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